sabato 22 marzo 2008

DEPOSITO: Sulle forme di Dialogo

Sabato 22 marzo_DEPOSITO
Sulle forme di Dialogo

Mi pare che l'attività artistica, intellettuale, critica in periodi come quello che stiamo vivendo di bassa dose di ideologia/utopia/tensione verso il cambiamento, si caratterizzi per forti accenti isolazionisti.

Registro da più di un decennio la mancanza di interrogazione, problematizzazione pubblica degli eventi che stiamo vivendo (nell'ambito circoscritto del teatro), ciascuno per sé. Soprattutto manca il desiderio e l'esigenza di guardare se stessi attraverso gli occhi degli altri: anche a costo di bruciarsi perché lo sguardo dell'altro può anche incendiare, gelare, lacerare. Non si ha il coraggio e non si vuole correre il rischio di andare incontro a lacerazioni, ferite. Si preferisce l'anestesia del non confronto, evitare i possibili conflitti, il pericolo e il rischio di mettersi in crisi, di chiedersi: ha senso il percorso che ho intrapreso, dove mi porta, quali le prospettive, i compagni di viaggio, le parole d'ordine, con chi faccio cordata, chi mi accompagna, chi mi butta dalla torre?

Non mi trovo d'accordo con chi pretende di liberarsi dall'ossessione del giudizio, che significa non valutare l'efficacia di un'azione. Questa tesi è nettamente contraria al dialogo.

Un altro tipo di dialogo è quello con chi ci ha preceduto.

La generazione degli anni Novanta, più che mitizzare i modelli della tradizione del nuovo teatro, si è pensata senza padri e senza maestri, cancellando piuttosto che svalutando le neoavanguardie, forti del fatto - implicito o esplicito - che la cultura postmoderna ha dichiarato in effettuale l'avanguardia - ma non i suoi miti.
La libertà per le generazioni più giovani non sta nel ricominciare da zero, quanto ricostruire su nuove basi quanto è stato smantellato: personaggio, racconto, testo. È con le questioni lasciate aperte da quella stagione sperimentale che bisogna confrontarsi perché essere radicati in una tradizione ci permette di spostarci e di mutare orizzonti.

Valentina Valentini

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Valentina Valentini insegna all'Università della Calabria e al Corso di Studi in Arti e Scienze dello Spettacolo dell'Università di Roma "La Sapienza". Le sue ricerche comprendono lo spettacolo nel Novecento e il campo delle interferenze fra teatro, arte e nuovi media.

1 commento:

Unknown ha detto...

Mi va di rispondere qui, da "autore" o "regista" o "teatrante" contemporaneo, alla professoressa Valentini riiguardo a delle parole che lancia rispetto alla nostra generazione di teatranti.
Più la sento parlare e più mi trovo in disaccordo, penso che non abbia capito chi siamo e come lavoriamo...
All'ultmo incontro a cui ho assistito (quello dei Muta Imago) ha ripreso un discorso da lei iniziato durante il primo incontro con Kataklisma, dicendo che noi teatranti contemporanei abbiamo "paura della storia" (storia in senso di storia da raccontare).
Beh forse non ha compreso che noi non abbiamo paura della storia, ma è la storia che ha paura o dovrebbe avere paura di noi.
La Storia arriva baldanzosa, pompata e forte di secoli di dominio da noi, noi la guardiamo, la scrutiamo e facciamo qualche schizzo sul muro per dipingerla, poi la mandiamo via, perchè abbiamo altre cose da disegnare, da rappresentare o su cui focalizzare lo sguardo dello spettatore.
Io onestamente sono un reazionario nel teatro (almeno in quello concedetemelo): nella Commedia Dell'Arte gli spettatori che seguivano la storia erano veramente pochi, stessa cosa per gli spettatori di Shakespeare (di cui noi osanniamo i testi, scritti molti anni dopo le rappresentazioni). La storia, la drammaturgia o per me il testo, sono solo delle parti accessorie del teatro, non totalmente indispensabili. Tra le avanguardie che noi non seguiamo secondo la Valentini c'era un tale Grotowskij che diceva che le uniche cose necessarie al teatro sono l'attore e lo spettatore e non mi pare che la storia sia uno di questi elementi. Il Living non ne ha mai fatto un uso smisurato della storia. Perciò lasciamo che un gruppo come i Muta Imago, che anche se partendo dalla storia non arrivano ad essa e utilizzano altri elementi teatrali maggiormente, si illumini e cresca.

Inoltre vorrei ringraziare gli amici di Kataklisma per averci ospitato e fatto conoscere il mondo della critica con i suoi pregi o i suoi difetti...

Ciao
Dario Aggioli